Carnevale!

Il Carnevale Italiano: usanze, tradizioni e proverbi dialettali

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Redazione Musica Popolare 12/02/2018 

Il carnevale è una festa che si celebra nei Paesi di tradizione cattolica. I festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi; in particolare, l’elemento distintivo e caratterizzante del carnevale è l’uso del mascheramento.

Il “Processo del Carnevale” è tra i festeggiamenti carnevaleschi più diffusi, infatti lo ritroviamo in molte regioni italiane e sopravvive anche nella tradizione popolare odierna. Dopo il testamento del Carnevale, al quale si addossano tutti i mali del vecchio ciclo annuale, di solito si usa metterlo a morte. L’uccisione può avvenire per per impiccagione o decapitazione ed è il momento culminante del dramma e dei festeggiamenti, ma la forma più usuale è quella del fuoco, ovvero la messa al rogo del fantoccio di Carnevale che troviamo in tantissime località.

Nel Carnevale si è trasferita l’antichissima sfrenata testa dei Saturnali che a Roma si svolgeva per il solstizio d’inverno e possiamo riconoscere nel personaggio di Carnevale una sorta di successore del Re dei Saturnali. L’inizio delle cerimonie era segnato da un sacrificio solenne al dio presso il suo tempio, nel corso del quale gli veniva offerta una scrofa e si consumava un banchetto sacro. Nelle case private si sacrificava al dio un maiale e si usava scambiare piccoli doni; ci si invitava reciprocamente a pranzo e si preparavano per gli ospiti regalini da portar via. In parte queste antichissime tradizioni sono conservate nelle nostre festività natalizie; ma alcuni aspetti dei Saturnali romani, come la passione per le burle, la sfrenatezza e il divertimento, il capovolgimento dei ruoli sociali, la licenza e la libertà trovano corrispondenza più propriamente nel Carnevale.

Così il personaggio di Carnevale, dopo aver partecipato a tutte le manifestazioni di allegria e di baldoria, viene processato, condannato e bruciato. Il Carnevale ha il suo re, talvolta impersonato da un essere umano in carne ed ossa (chiamato con nomi diversi: re di Carnevale, Episcopello, ecc.), talvolta incarnato invece in un fantoccio che viene bruciato con appositi riti l’ultima sera di Carnevale, o ancora identificato in un animale selvatico, come l’orso o il caprone (nelle Alpi Orientali si svolge in questo contesto la caccia al Salvanèl, incarnazione della vita selvaggia). Solitamente il re Carnevale scende a battaglia con la Quaresima, impersonata da una vecchia o da un personaggio maschile tanto magro, triste e austero quanto Carnevale risulta panciuto; è sempre Carnevale ad avere la peggio, lasciando il posto all’ascetismo della Quaresima che impone le sue regole ferree, privazioni e digiuno.

Il carnevale sta ad indicare uno dei riti di eliminazione del male per il principio dell’anno, ma allo stesso tempo anche di propiziazione della fertilità e abbondanza.

In alcune regioni, quali il Piemonte, a fare testamento non è il Carnevale, ma il “pitù”, il tacchino: nel Monferrato. Uno dei giovani vestito da notaio legge il testamento in cui, sotto forma di consigli si rivelano tutti i difetti e le malefatte dei cittadini, i quali, pur essendo gravemente offesi, non reagiscono. È la necessità della confessione pubblica dei peccati, perché la comunità inizi il nuovo anno pura da ogni macchia.

A Pettorano sul Gizio addirittura il testamento viene prima esaminato, censurato e visitato dalle autorità. A Staffolo, nelle Marche, il testamento sopravvive ma attraverso espressioni più piacevoli; così pure avviene a Forano nella Chiana ed in altre regioni del Sud. Questo “testamento gentile” è una discendenza diretta di composizioni popolareggianti assai diffuse fin dalla metà del XVI secolo; ha trovato sviluppi teatrali anche in Calabria ed in Toscana attraverso le farse di Carnevale e le befanate.

Se ne trovano tuttora sopravvivenze nel Nord, in Val Canonica e nelle bosinate in dialetto lombardo; ma quel che più caratterizza il Carnevale è indubbiamente l’allegria, il rito propiziatorio del benessere della comunità: canti, balli, scherzi, certe forme di licenziosità che hanno un originario e giustificativo carattere ritualistico.

Ogni città ha la sua maschera tipica: Arlecchino di Venezia, con la sua maschera nera e il suo abito a losanghe multicolori, Pulcinella di Napoli, col volto metà bianco e metà nero e un pigiama candido, Balanzone di Bologna, elegantemente vestito, Zanni, con tunica e calzoni bicolori, le inquietanti figure dei mamutones e degli issocadores della Sardegna; e poi Rugantino, Pantalone, Stenterello, Gianduia.

Anche se la vita moderna ha attenuato di molto i motivi di interesse per il Carnevale, rimangono dei luoghi dove questi periodi di baldoria non sono scomparsi del tutto. E’ il caso di Ivrea dove domina la bella Mugnaia che, secondo una leggenda medievale avrebbe ucciso il Marchese tiranno, un fantoccio che finisce bruciato. Segue al rogo imponente corteo guidato dal generale a cavallo seguito da cinque abbà con un’arancia infissa sulla spada. Tipica, in chiusura, è lotta a colpi d’arance tra squadre. Da sottolineare che in queste gare, diffuse anche altre città, fa sempre la sua comparsa l’arancia, a cui la leggenda popolare attribuisce poteri propiziatori.

Un altro Carnevale importante è quello di Viareggio, che si distingue dagli altri per la varietà e la grandiosità dei carri e dei fantocci simbolici, ispirati spesso a eventi politici recenti (per realizzare i carri, con i loro personaggi caricaturali e i loro addobbi di cartapesta, gli abitanti della cittadina lavorano per tutto l’anno); quello di Sanremo, in cui a sfilare in corteo sono carri meravigliosamente addobbati dei profumatissimi fiori della Riviera Ligure.

Tra i vari pianti che accompagnano questi cortei, il più diffuso (dalla Romagna fino all’Italia meridionale) si racchiude in una quartina ripresa poi più avanti in una canzone che riscosse un grosso successo popolare:

“Carnevale perché sei morto?
Pan e vino non ti mancava,
l’insalata era nell’orto,
Carnevale perché sei morto?”

La festività porta con sé altre usanze dialettali che arrivano fino ai giorni nostri:

Veneto: “De ogni dì Nadale, de marti carnevale, de mercore Quaresima, de giove settuagesima, e Pasqua?…sol de domenega!”

Piemonte: “L’Epifania tute le feste a porta via, peui a vèn al Carlevé e ai torna a porté”

Liguria: “L’urtimo giorno de Carlevâ de ravieu se ne fa ‘na pansâ”

Emilia Romagna: “Nadèl a cà di tò, carnvèl a cà di màt, Pàscua indò ‘t t’imbàt”

Lombardia: “Bél Nadal brot Carnual”

Marche: “Pasqua alta, el diavle rid”

Puglia: “Karn’vèl’ mi’ kjín’ d’ dògghj’, ajjér’ makkarún’ e jjósc’ fògghj'”
(Carnevale mio pieno di dolori, ieri maccheroni ed oggi foglie)

 

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